Abbiamo letto in classe il racconto Felicità di Concita De Gregorio, frutto della sua esperienza di viaggio in Tanzania con l’associazione AMREF, nell’ambito della campagna globale Stand Up for African Mothers, a favore della donne africane.
Ho chiesto poi agli studenti di scrivere una riflessione che questa lettura ha ispirato loro.
(Ludovico Valentino)
Le storie che si incrociano o “quasi”
Quando respiro sono felice: Il movimento più naturale di un essere vivente è respirare ma quando capisci che tra qualche istante non accadrà mai più ti rendi conto di cosa è la FELICITA’!
Mi sento felice e piena di vita quando faccio un bel respiro, entra l’aria fredda e esce calda, è la vita dentro di me che pulsa forte…
Una donna bianca in Europa, assistita con tutte le possibilità della medicina, aspetta un bambino, lo sa che è un maschietto; invece in un’altra parte del mondo sprovvista di cure mediche, anche un’altra donna aspetta un bambino o bambina, lei è in Africa dove tutto è molto diverso, però non gli errori umani.
La donna bianca partorirà il secondo figlio con cesareo programmato; invece la donna africana avrà l’ottavo figlio perché nella sua cultura le donne hanno tanti figli.
La donna bianca va all’ospedale nel giorno programmato per la nascita di suo figlio; invece la donna africana non lo sa esattamente, la natura si farà sentire. Però quando arriva il giorno delle nascite qualcosa va storto.
Dopo il parto la donna bianca, che non si sentiva bene, aveva pensato che il giorno dopo sarebbe stata meglio, invece no.
L’africana che doveva partorire naturalmente non ce la faceva perché il bambino era girato al contrario, urlava di dolore, invece la donna bianca non riusciva a gridare e neanche a piangere perché i dolori erano talmente forti che qualsiasi movimento era peggio, la sua pancia era talmente gonfia che non sembrava neanche che aveva partorito.
Dopo le sofferenze, che per entrambe hanno raggiunto una fine, l’africana ha partorito suo figlio con il cesareo, però non si può sapere se per lei era già troppo tardi oppure se la mano dell’uomo è stata poco curata, perché lei non si è più svegliata. Non ha potuto accudire suo figlio, una triste fine; quella che doveva essere una storia di vita è finita con la morte della mamma; una delle tante, non solo in Africa ma purtroppo in tutto il mondo.
La donna bianca ha continuato a soffrire, non vedeva suo figlio, non riusciva a camminare, non riusciva a mangiare e la sua pancia si gonfiava sempre di più, finché nel quarto giorno dopo il parto la morte è venuta a prenderla con le sue mani. E’ caduta per terra, poi sono arrivati in tanti, l’hanno messa sul letto e lì ha patito ancora di più; in posizione fetale è rimasta per ore, non riusciva più a respirare, ogni respiro era un male atroce.
Dopo ore lei ha capito che se ne stava andando; ha trovato le sue ultime forze per chiamare qualcuno.
Finalmente l’hanno portata a fare degli esami. Quando è arrivata, la dottoressa l’ha guardata negli occhi e le ha detto che doveva essere operata d’urgenza e che le possibilità di sopravvivenza erano poche, il suo intestino era perforato.
Lo sguardo sulla croce sopra la porta della camera che la ospitava la fece pregare ma solo con il pensiero perché dalle sue labbra non usciva più nessuna parola: sentiva che la sua anima stava piano piano lasciando il suo corpo; poi una luce bianca, forte sulla faccia, tante voci, tanti passi veloci, tanti rumori strani e tanto male.
Alcune ore dopo sente il suo corpo freddo come il ghiaccio, le faceva male tutto, poi sente una voce famigliare, è andata bene!
Al risveglio vede dei capelli bianchi e una luce dietro, era un angelo che la prendeva per la mano; poi si rende conto che non era in cielo, era viva e quei capelli bianchi erano quelli di una sua cara amica che pregava per lei, con le mani sopra le sue.
La donna bianca non riusciva a parlare, perché le avevano messo qualcosa nella gola che la soffocava. Lei è stata venti giorni all’ospedale tra la vita e la morte; non ha ricordi del suo figliolo, non ha potuto abbracciarlo, dargli il suo latte, il suo amore; glielo hanno portato via e lei è rimasta lì sola, in sofferenza, non solo fisica ma anche nella sua anima.
A questa donna la vita ha ancora sorriso, piano piano è migliorata ed è uscita dall’ospedale, con il suo bene più prezioso in braccio, il suo piccolino.
Quando è uscita fuori dall’ospedale faceva freddo ma c’era un sole bellissimo, che sembrava tutto per lei, ha chiuso gli occhi e ha sentito il vento freddo soffiare sulla sua faccia, era il vento della sua rinascita, perché la vita è un soffio.
La donna bianca di questo racconto sono io che piango quando scrivo ma ho la consapevolezza di sapere che sono fortunata e sapere delle sofferenze delle donne africane mi ha fatto sentire più vicina a loro.
Grazie a te Valentino per portare tante storie belle a me, a noi.
Isaura
Foto: credit Alicia Petresc / Unsplash